Siamo con Yamuna Giambastiani, giovane fiorentino, co-fondatore di Forest Sharing, un’innovativa piattaforma che si occupa di gestione condivisa di terreni agricoli e boschivi.
Nelle strategie di lotta ai cambiamenti climatici e all’impatto antropico sul pianeta, il contributo di boschi e foreste è e sarà fondamentale. Se Next Generation EU destina il 37% dei fondi alla transizione ecologica, in che modo queste risorse possono essere convogliate, coinvolgendo settore pubblico e privato, in una rinascita verde dell’Europa che parta proprio dal tessuto forestale e boschivo?
La transizione ecologica ha bisogno di una solida base culturale, che oggi manca in seguito all’allontanamento dalle zone rurali e montane. In città si vive molto lontano dai processi naturali e quindi anche la loro comprensione è più difficoltosa. Il primo passo è culturale. Come è importare sapere da dove arriva l’uovo o la zucchina che mangiamo, è importante sapere come viene prodotta la corrente elettrica che ci ricarica lo smartphone, o l’energia che riscalda le nostre case d’inverno. Questa cultura deve essere a disposizione di tutti e non solo degli esperti, in quanto il comportamento di tutti incide moltissimo sull’uso delle risorse, il riciclo, gli sprechi.
Questo riguarda anche i boschi, anzi soprattutto i boschi! Oggi chi è proprietario di un bosco, crede di avere poco in mano, qualcosa che gli crea preoccupazione per i rischi frane, incendio, caduta rami, etc…invece è proprietario di qualcosa che protegge le valli e le città dalle alluvioni, purifica l’acqua, genera ossigeno, regola la CO2 atmosferica, e tanti altri benefici chiamati servizi ecosistemici.
Nel passato questi aspetti erano più conosciuti, o meglio erano vissuti dalle persone. Oggi i processi naturali sono (un po’) più chiari a livello scientifico, ma ben poco vissuti. Per me, la transizione ecologica dovrà passare dall’unione di questi due aspetti: conoscere e vivere i benefici delle nostre foreste (quindi delle risorse naturali) anche grazie all’uso di processi innovativi e tecnologici. Questo non vuole dire che dobbiamo fare le valigie dalle città e tornare a vivere in montagna, ma riportare un’economia sostenibile nelle nostre montagne, a beneficio delle nostre città. Le risorse che l’Europa si prepara a investire nella rinascita verde dovranno passare dalla crescita culturale dei cittadini, al fine di innescare un vero e proprio interesse verso la cura del territorio. Se tutto funzionerà, troveremo la sostenibilità dei processi, quindi senza bisogno di investimenti a fondo perduto per il mantenimento del territorio, ma un sistema in equilibrio.
Esattamente come possiamo spiegare l’idea del Forest Sharing ai “non addetti ai lavori”?
Forest Sharing è un nuovo metodo di gestire i boschi: non guardare il singolo bosco, ma assumere una posizione più alta e guardare l’intera foresta che questi boschi compongono. La foresta essendo un sistema naturale complesso non può essere scomposta in piccole unità omogenee, semplicemente perché omogenee non sarebbero. Ogni porzione di territorio ha le sue caratteristiche, pertanto dovrò tenere di conto di molti fattori, nel momento in cui vado a pianificare degli interventi e delle attività antropiche. In questo modo potrò bilanciare al meglio l’impatto e tutelare le porzioni o gli aspetti più suscettibili. Oggi vediamo le proprietà molto frammentate e piccole, e gli interventi sono scollegati tra di loro, spesso progettati su un orizzonte temporale di brevissimo tempo. Il tutto porta ad un impoverimento della risorsa, un aumento di costi, l’assenza di programmazione e prospettiva della filiera.
Mi potresti dire: “non sarebbe meglio non avere affatto un impatto, quindi ridurre a zero le attività e gli interventi?”
Non c’è alcun dubbio che l’impatto minore è “il non intervento”, allontanarsi. Ma sarebbe possibile? Possiamo fare a meno della risorsa legno (e prodotti secondari)?
Inoltre, dobbiamo considerare che il nostro territorio è altamente antropizzato, non c’è rimasto niente di “naturale”. L’attuale brusco cambio di tendenza, lasciando molti luoghi abbandonati, quindi alla libera evoluzione, porta ad eventi molto distruttivi, in quanto la natura non sostiene ciò che è fatto dall’uomo, ma distrugge e ricomincia. Quindi lasciare tutto alla libera evoluzione non è sostenibile e potrebbe avere un impatto sull’uomo molto più significativo.
Forest Sharing cerca di risolvere questi problemi. Creare una comunità di proprietari boschivi, gestire in modo unificato le proprietà e condividere i benefici. Chi possiede un bosco protettivo, condivide la capacità del suo bosco nel proteggere la città dalle alluvioni; chi possiede un bosco produttivo, condivide la legna che ne trae, etc. I benefici sono posti sul solito piano, e insieme portano ad un equilibrio “circolare” economico ed ambientale.
La piattaforma facilita l’incontro tra proprietari, eliminando i processi di aggregazione, riunioni, assemblee, etc. Mantiene le volontà dei singoli proprietari (che definiscono come prima atto dell’iscrizione), permette lo scambio di informazioni tra proprietari e aziende e professionisti che lavorano con i boschi.
Inoltre, grazie alle innovazioni sviluppate, è possibile accedere facilmente a sistemi tecnologici per il monitoraggio delle risorse naturali, sistemi di supporto decisionale per la pianificazione, controllo qualità e certificazione forestale.
Come è nata l’idea? Esistono esperienze simili nel mondo?
L’idea è nata da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di scienze forestali dell’Università di Firenze: gli studi e le attività sul campo individuano nella frammentazione e nell’abbandono uno dei principali problemi nel settore forestale italiano. Forest Sharing nasce come uno strumento per provare a risolvere questo problema, per dare alla filiera del settore (proprietari, aziende) la possibilità di mettere in campo quello che la ricerca scientifica (penso alla selvicoltura di precisione) ed il progresso tecnologico (le piattaforme di condivisione ed ingaggio digitale proprie della sharing economy) sono in grado di offrire. Se guardiamo ad altri paesi a noi vicini (Spagna, Francia, Slovenia, Belgio) posso dire che esistono piattaforme con peculiarità simili alla nostra, che puntano a risolvere più o meno le stesse problematiche: quello che rende Forest Sharing un po’ diversa è il suo essere potenzialmente replicabile ovunque le condizioni di mercato ed ambientali lo permettano, tanto è vero che sono allo studio dei progetti di “personalizzazione” di questo strumento in Spagna e Croazia.
Il vostro progetto ha già ricevuto alcuni riconoscimenti a livello europeo, ed in Italia siete stati premiati da Legambiente e Programme for Endorsement of Forest Certification schemes come il progetto Comunità Forestali Sostenibili 2020. Potresti aiutarci a capire in che modo il Forest Sharing si possa inserire in un’economia circolare, aiuti ed incentivi l’ecosostenibilità e se sia quantificabile il suo impatto nella lotta ai cambiamenti climatici?
Forest Sharing è uno strumento che lavora secondo le logiche dell’economia circolare, guardando al processo, e non al prodotto; provo a spiegarmi meglio. Uno strumento che metta diversi attori in connessione tra loro intorno ad un progetto comune (la gestione di un bosco, nel nostro caso), rende la filiera circolare: al centro del processo non c’è il possesso del bene che si intende gestire (che è e rimarrà sempre di proprietà dell’utente che decide di aderire a Forest Sharing), bensì il suo utilizzo: questo rende la filiera circolare. Aggiungo che produrre e condividere i dati acquisiti sul campo (fine ultimo della selvicoltura di precisione) è un modo per rendere circolare la conoscenza. Ci tengo ad aggiungere che questo nostro strumento è (lo speriamo) un modo per creare anche in ambito forestale quella filiera corta della quale in ambito agricolo si sente parlare ormai da un bel po’, per fortuna. Avere il bosco sotto casa in stato di abbandono e nello stesso tempo importare legname dall’altro capo d’Europa non è sostenibile né sensato: Forest Sharing vuole contribuire a spezzare questa catena.
Gli standard gestionali di PEFC (ai quali abbiamo fin da subito deciso di aderire) sono il nostro modo per parlare di sostenibilità nella gestione del patrimonio forestale. Esistono degli strumenti che sono stati sviluppati nell’ambito della ricerca universitaria, utili alla misurazione dei servizi ecosistemici di cui parlavo prima, cioè di quanto i nostri boschi siano in grado di portare un beneficio all’ambiente ed alla collettività.
Se volessimo fare qualche esempio circa l’utilizzo che potreste fare di un bosco, privato o pubblico, che vi venisse affidato?
Un proprietario forestale può (ad esempio) rivolgersi a Forest Sharing per effettuare un piano di gestione e manutenzione della viabilità forestale, utile alla creazione di percorsi fruitivi per i turisti o la cittadinanza, o funzionale alla gestione anti incendio (un fuoristrada impiega molto meno tempo ad arrivare sul luogo di incendio, è possibile intervenire più tempestivamente, inoltre inquina un po’ meno di un Canadair….). Quando l’aggregazione di boschi di più proprietari raggiungono un’estensione sufficiente e l’attività in campo sia tecnicamente ed economicamente sostenibile, Forest Sharing stipula un mandato di gestione tramite il quale il proprietario lo autorizza ad agire in suo nome nei confronti dei fornitori coinvolti, in una logica chiavi in mano. Finché, l’estensione non è sufficiente (cosa che molto spesso accade, vista la frammentazione delle proprietà), Forest Sharing “ingaggia” il proprietario nella ricerca e coinvolgimento dei proprietari confinanti, in una logica (anche qui) circolare e condivisa, o comunque si adopera per stimolare la partecipazione.
Altro tema riguarda poi quello delle risorse: se da parte dei proprietari non c’è la possibilità di sostenere finanziariamente le attività in campo, si possono percorrere le strade della progettazione ai fini dell’erogazione dei contributi regionali previsti per il settore (e su questo il team di Forest Sharing può fornire supporto e consulenza, come farebbe uno studio di professionisti “classico”), o in alternativa si può proporre quella che noi chiamiamo la gestione integrata: portare a vocazione produttiva la parte (dei boschi interessati) sufficiente e sostenibile al fine di creare le risorse necessarie alla gestione complessiva prescelta dall’utente; creare risorse da reinvestire nel territorio stesso, a vantaggio della filiera coinvolta. Anche questo crediamo sia un modo per fare economia circolare.
Abbiamo letto di un progetto in particolare che ci ha incuriosito che avete seguito in provincia di Pistoia sulla sistemazione idraulica attraverso l’utilizzo di una specie arborea divenuta infestante in quelle zona. Puoi raccontarci di cosa si è trattato?
Questo è un semplice esempio di una tipologia di progetti che stiamo provando a promuovere, in particolare in provincia di Pistoia e Lucca, abbiamo sottoposto un progetto che riguarda la valorizzazione dei soprassuoli di Robinia, o comunemente conosciuta come Acacia. Questa specie ha caratteristiche ecologiche molto invasive, avvantaggiandosi di aree degradate, in pochi anni riesce a colonizzare vaste aree di territorio, anche con boschi in evoluzione.
La Robinia è una specie esotica, proviene dal Nord America, e come spesso succede, quando si trova in un luogo nuovo prende il sopravvento e domina le altre specie, con una riduzione della biodiversità e l’alterazione degli habitat. La robinia non ha però solo aspetti negativi, in quanto ha un legname molto durevole (pari al castagno), è azotofissatrice, consente la produzione di miele di elevate qualità organolettiche, ha un apparato radicale che contribuisce alla stabilità dei pendii. Questa specie è presente e ci dobbiamo convivere, e da qui l’idea di valorizzarla e gestirla, in modo da contenerla nell’invasione e allo stesso tempo dare la possibilità a questi soprassuoli di esprimere al meglio le proprie funzionalità.
Il progetto di valorizzazione si basa sulla gestione dei soprassuoli al fine di ottenere assortimenti legnosi di maggiore qualità e valore, principalmente pali da lavoro, per realizzare staccionate, recinzioni, ma soprattutto per impieghi in opere di ingegneria naturalistica (strutture per il ripristino e prevenzione dei dissesti idrogeologici), sfruttando al meglio l’elevata durabilità del legname naturale.
Ci sono prospettive anche in ambito piu prettamente urbano per il Forest Sharing? Possiamo pensare che il progetto possa in qualche modo aiutare le amministrazioni comunali ad affrontare problematiche come ad esempio la riduzione dell’inquinamento?
Forest Sharing nasce per combattere la frammentazione e l’abbandono delle proprietà forestali, prima di tutto private ma anche pubbliche: stanno nascendo dei contatti con alcune amministrazioni comunali dell’hinterland fiorentino e non solo, interessate a fare sinergia con noi per coinvolgere la propria cittadinanza in attività di gestione integrata delle proprietà forestali, pubbliche e private.
Abbiamo creato uno strumento che nelle esperienze degli altri paesi europei che ho citato prima è gestito spesso e volentieri in prima persona dal regolatore pubblico: nel nostro piccolo, pensiamo di poter dare un servizio che sia di utilità ed interesse pubblico, oltre che privato. Per quanto riguarda l’ambito urbano, Forest Sharing ha un forte impatto, dovuto alla stretta connessione tra quello che facciamo sui monti e quello che succede a valle (dove troviamo le città). Le alluvioni, oltre ad essere calamità naturali, sono il risultato di pratiche sbagliate di cura del territorio. Posso aggiungere che l’approccio “di precisione” alla selvicoltura che utilizziamo nei servizi che Forest Sharing offre, lo si può utilizzare anche in ambito urbano (e noi lo facciamo): produrre conoscenza sulle condizioni delle alberature urbane è utile ad esempio per realizzare piani di manutenzione preventiva delle stesse.
Nel dibattito sulla forestazione spesso si sente dire che l’Italia è un paese virtuoso in cui il patrimonio boschivo è in costante aumento. Un argomento usato spesso per minimizzare la necessità di ridurre il consumo di suolo. Cosa c’è di vero in questa affermazione? In che modo un progetto come Forest Sharing può essere utile ad avvicinare il nostro paese agli obiettivi (urgenti) di neutralità carbonica?
Il problema del consumo di suolo nel nostro paese non deve e non può essere minimizzato e non crediamo che l’aumento della superficie forestale possa essere un alibi per minimizzare il problema, visti anche i dati preoccupanti riportati nell’ultimo rapporto ISPRA 2020 sul consumo del suolo dove viene indicato che nel nostro paese c’è una perdita di circa 14 ettari al giorno, soprattutto di superfici agricole e/o con vegetazione erbacea non impermeabilizzate.
Però, se da un lato c’è una costante perdita di superfici non impermeabilizzate, è altrettanto vero che il patrimonio boschivo in Italia ed in Europa in generale è in costante aumento. I dati riportati nel Rapporto dello Stato delle Foreste Italiane indicano che 2019 la superficie coperta da foreste nel nostro paese ha superato la superficie agricola, e questo non accadeva dal medioevo. L’aumento della superficie forestale è quindi una buona notizia, poiché le foreste e il loro impatto a larga scala è cruciale per contrastare le emissioni antropiche di CO2, così come la strategia di emissioni zero.
Le foreste sono un asse chiave della strategia europea di riduzione del carbonio (“decarbonizzazione”) ed agire per proteggerle e possibilmente aumentare la loro capacità come serbatoio di carbonio è di primaria importanza. Infatti, l’Europa indica che azioni come i rimboschimenti, il ripristino delle foreste degradate e le pratiche di gestione forestale sostenibili, inclusa la protezione delle foreste, sono misure chiave per mantenere e migliorare il delle foreste come serbatoi di carbonio.
È altrettanto vero però che l’Europa e le istituzioni scientifiche indicano che questi risultati possono esser raggiunti solo se si passa da una stretta interazione di governance locale, nazionale e ed europea. Quindi per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione non basta lasciare crescere una foresta in autonomia. È proprio in questo contesto che Forest Sharing opera proponendo tra l’altro, grazie ai risultati della ricerca scientifica, un approccio di “Climate Smart Forestry”, dove la gestione forestale sostenibile mira ad integrare le misure di mitigazione e adattamento legate alle foreste e migliorare la resilienza delle foreste e dei servizi ecosistemici forestali.
Forest Sharing consente agli utenti di diventare attori attivi nell’azione per il clima e nella decarbonizzazione. Infatti, tornare a gestire un bosco abbandonato significa tornare a conoscerlo e questo può consentire di migliorare la sua resilienza, mitigare i rischi dovuti ad eventi estremi come siccità, incendi e tempeste di vento ed avere benefici economici e ambientali più ampi associati ai servizi ecosistemici forestali. Infatti, crediamo che anche se un bosco viene lasciato crescere o in rewilding debba sempre essere previsto un piano di monitoraggio che consenta la valutazione di fattori complessi utili a capire e a misurare anche come si possono raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione che ci siamo posti come Italia, Europa ma in generale nel mondo.
Grazie per la tua disponibilità Yamuna!