Negli ultimi anni sono in aumento film e documentari che hanno come tema l’ambiente, la crisi climatica, il rispetto del Pianeta, dimostrando una crescita di interesse sul tema e dando prova di come la cultura possa (e debba) essere uno strumento per portare avanti sfide ambientali e sociali del nostro tempo.
Entrando nel merito, diciamo spesso che ci troviamo di fronte a una crisi che non è solo ambientale ma “sistemica” e crediamo che anche il modo in cui si fa cultura ne sia parte integrante.
Vogliamo quindi dare voce a un settore, quello della cinematografia, che sembra faticare a darsi una direzione, partendo proprio dal momento difficile e particolare che stiamo vivendo.
Lo facciamo con Samuele Rossi, regista toscano, vincitore del prestigioso PÖFF | Tallinn Black Nights Film Festival, con il suo nuovo film Glassboy, ultimamente in anteprima al Giffoni Film Festival, appena uscito il 1° febbraio in streaming on demand sulle principali piattaforme.
Ecoló: Ciao Samuele e grazie per la tua disponibilità per questa intervista. Di recente hai lanciato un appello sui social intitolato: “le sale cinematografiche chiuse ed il terribile e codardo silenzio di un intero settore”. Da dove nasce questo sfogo?
Samuele Rossi: L’appello nasceva principalmente da una sensazione di forte smarrimento e delusione rispetto all’assenza di un reale dibattito sulla chiusura delle sale cinematografiche che è una ferita aperta non solo nella vita culturale del nostro paese, ma anche sociale delle nostre comunità. Stonava (e stona) ancor di più il fatto che questo disinteresse, questa apatica accettazione dello status quo, appartenga in primis al settore di cui faccio parte. Addirittura è difficile trovare una dichiarazione di qualche regista italiano di particolare rilievo che si sia esposto. Quest’atteggiamento, ovviamente frutto del fatto che il settore cinematografico sia stato ampiamente supportato dalla politica in questi mesi attraverso “i ristori” e la “cig” (e altre misure più specifiche), denota “una pancia piena” che ha portato, soprattutto per la grande distribuzione, una situazione di assoluta passività e di totale noncuranza del significato, del valore e del ruolo delle sale cinematografiche nel tessuto sociale.
Ovviamente i piccoli esercenti non la pensano così, vorrebbero aprire, lavorare seguendo i protocolli. Ma è ovvio che in un gioco economico così complesso e rilevante le piccole imprese rimangono purtroppo ai margini del discorso politico. Il punto non è un’apertura priva di logica, ma confrontarsi, dibattere sul problema, trovare soluzioni intermedie. Perché se alle grandi imprese questa situazione è quasi conveniente, non è lo stesso né per i piccoli esercenti, né per la piccola distribuzione, né per la produzione indipendente. Il cinema che si espone, che sta in prima linea, finisce per essere definitivamente ucciso da questa politica miope e sterile.
Ecoló: Nella crisi sanitaria e sociale in corso, come giudichi i provvedimenti di chiusura di cinema e teatri? Potevano essere trovate soluzioni alternative? La situazione è complessa e delicata.
SR: Credo che nella prima ondata non ci fossero alternative. Credo lo stesso durante il picco della seconda ondata. Le regole devono valere per tutti. Dunque se molti settori aperti al pubblico vengono chiusi, deve valere lo stesso anche per le sale cinematografiche, per i teatri. Ma oggi la situazione si muove sulla linea di una certa stabilità. Dunque ritengo che attraverso un differente confronto, un settore, quello cinematografico intendo, maggiormente attento e volenteroso e un dibattito più incisivo oggi si potrebbero attivare, attraverso gli stessi protocolli di sicurezza che erano già stati trovati nella tarda primavera del 2020, delle modalità di fruizione rivolte al pubblico. Ma non c’è la volontà. Questo è il punto.
Ecoló: Abbiamo sentito spesso alzate di voci a difesa di ristoratori e categorie economiche di ogni tipo, mentre poco o niente da parte del mondo del cinema, come mai?
SR: Perché il nostro settore, soprattutto nella distribuzione e nell’esercenza, ha goduto di interventi massicci, spesso addirittura totalmente compensativi delle perdite. Inoltre c’è una CIG significativa. Questo permette alle grandi aziende della distribuzione, che purtroppo mantengono il controllo decisionale e sono attori decisivi nel dialogo con la politica, di rimanere chiusi senza problemi e scaricare i costi sullo Stato disinteressandosi del danno che l’assenza di attività culturale produca nella società. Non voglio dire che non deve essere il sostegno pubblico (non voglio creare equivoci), ma sono allo stesso modo convinto che gli aiuti statali debbano confluire anche nella direzione di una stimolazione dell’attività, di una ricostruzione o rimodellazione di essa. Altrimenti non c’è ripartenza, non c’è progettualità, non c’è futuro. Vogliamo veramente credere che seguendo determinati protocolli di sicurezza non sia possibile, con il supporto di politiche di sostegno, riaprire le sale con presenze scaglionate, programmazioni differenziate, orari elastici? Quando nello stesso momento i centri commerciali, giusto per fare un esempio, sono aperti senza nessun tipo di specifico controllo…
Ecoló: Chi è maggiormente impattato da questa situazione e in che modo? Produttori, distributori, gestori di cinema, attori e lavoratori del settore?
SR: I produttori da una parte e i lavoratori del settore dall’altro. Distribuzione ed esercenti hanno ristori significativi e cig, tutele importanti, spesso quasi compensative in toto, che finiscono però per schiacciare la piccola esercenza che ovviamente lavora su pubblici e modalità differenti. Paradossalmente senza i grandi titoli, che in questo momento sono stati tutti rimandati a dopo l’estate, il vero problema lo avrebbero i grandi distributori e i multplex (che farebbero fatica a lavorare su titoli indipendenti o d’autore). Ecco perché è tutto chiuso.
Ecoló: Come per tante altre situazioni del nostro Paese, questa pandemia ha fatto emergere spesso criticità già presenti, di tipo strutturale, che nel momento di crisi sono amplificate e gestite con provvedimenti “tampone”, senza sfruttare l’occasione per una riflessione più ampia. È così anche per il cinema? C’è una visione di prospettiva a medio-lungo termine che possa andare a questo momento drammatico?
SR: E’ proprio così. Il vero problema è questo, come già anticipavo. Sono tutte misure rivolte al presente, anche significative, anche rilevanti. Ma sono tutte iniziative che puntano a far sopravvivere (che è già qualcosa ovviamente), ma non sono sostenute da un pensiero a medio-lungo termine. Non c’è progettualità, né viene incentivata o richiesta, pensando erroneamente che tra 8 o 12 mesi tutto riprenderà come se fossimo ancora nel 2019. Sarebbe stato opportuno condizionare certe forme di sostegno a vincoli di rinnovamento delle proprie attività, di ammodernamento delle infrastrutture o di ricostruzione di nuove forme di condivisione e fruizione. Ma se manca il dibattito come puo’ avvenire? Se il nostro settore tace come la politica potrebbe sapere?
Ecoló: Come dicevamo all’inizio, l’attenzione alle sfide ecologiche del nostro tempo sta diventando sempre più presente nella produzione cinematografica, come vedi la relazione tra cinema e ambiente?
SR: Il cinema solitamente ha sempre avuto la capacità di parlare dei temi che coinvolgono l’attualità: ecco dunque che l’ambiente è diventato di rilievo sia nel cinema documentario che nel cinema di finzione. Non solo. L’emergenza ambientale sta cambiando anche molte abitudini produttive, se non addirittura aspetti integranti del modello economico che sostiene un’operazione cinematografica. Basti pensare che ormai quasi tutti i bandi a livello europeo e nazionale che caratterizzano l’attività di sostegno al cinema da parte delle Film Commission inseriscono delle premialità laddove le produzioni cinematografiche garantiscono livelli di sostenibilità ambientale sul set (raccolta differenziata, ecomobilità…). Ovviamente non è facile, un set è “un circo” in movimento. Ma se c’è la volontà e se il lavoro di controllo è svolto bene anche i set possono diventare luoghi capaci di rispettare l’ambiente e rinnovare le proprie abitudini.
Ecoló: Tornando all’appello lanciato qualche giorno fa sui social, che risposta stai ottenendo? Hai fiducia che si possano investire risorse, non solo economiche, per un rilancio innovativo del settore della cultura, cinematografica in primis?
SR: Tanti consensi vicini, nel passaparola di amici e colleghi, una discreta attenzione in termini regionali (la Toscana, regione in cui vivo e opero maggiormente). Ma 0 risposta in termini più strutturati. Ma è normale. Per quanto faccia questo lavoro da più di 10 anni, abbia diversi film alle spalle e il mio secondo film di finzione uscito il 1° febbraio, è sempre difficile portare attenzione su temi importanti e spesso spigolosi, rompere un certo “muro di gomma”. Dovrebbero essere ben altri nomi della regia italiana a farsi carico di questa battaglia, a stimolare il confronto ed il rilancio. Ma questo non accade. Come mai? Non me lo spiego.
Ecoló: Ti ringraziamo per il tuo tempo e ti chiediamo di chiudere con un suggerimento per chi ha a cuore il cinema in sala: quale potrebbe essere un modo per sostenerlo, anche indirettamente, in attesa di poterci tornare presto?
SR: Non perdere le abitudini cinematografiche. Guardare film, su qualsiasi piattaforma possibile. E’ un modo per sostenere il cinema e la sua fruizione in questo momento che non ci sono alternative. Ma al contempo non prenderla come un’abitudine (non troppo almeno). Perché è la sala l’unico luogo dove un film possa essere realmente goduto e vissuto. E perché alla fine di tutto questo i cinema torneranno a riaprire e sarà bello ritrovarsi in fila, in attesa di comprare il biglietto, per una nuova splendida visione da condividere assieme.