I cambiamenti climatici e il conseguente aumento delle temperature provocheranno più frequenti e intense stagioni secche in tutto il mondo, rendendo il problema della scarsità idrica pervasivo.
In appena due decenni la quantità d’acqua potabile disponibile pro-capite è diminuita di circa il 20%, secondo l’ultimo rapporto annuale della FAO “The State of Food and Agriculture”. Le Nazioni Unite stimano che oltre due miliardi di persone vivono in Paesi “sottoposti a un forte stress idrico”, mentre quasi due terzi della popolazione mondiale deve affrontare gravi carenze d’acqua per almeno un mese all’anno. Inoltre, l’UNICEF prevede che, “entro il 2040, un bambino su quattro – circa 600 milioni di minori in tutto – vivrà in aree sottoposte a stress idrico estremamente elevato”. Siccità e fenomeni meteorologici estremi colpiscono in modo sproporzionato i più vulnerabili e, per larga parte, sono conseguenza dei cambiamenti climatici in atto per i quali i paesi più ricchi hanno le maggiori responsabilità.
Questi segnali fanno vedere la scarsità della risorsa acqua sempre più frequentemente come un rischio economico, alimentando gli appetiti del mercato al punto che, il Cme Group, la più grande piazza finanziaria dei contratti a termine del mondo, in collaborazione con il Nasdaq, ha annunciato la creazione del primo future sul mondo sull’acqua.
Ma cosa sono i Futures? Un contratto future è uno strumento mediante il quale acquirente e venditore si impegnano a scambiarsi una determinata quantità di una attività (detta sottostante) a un prezzo prefissato e ad una data futura prestabilita. Questo contratto può essere poi scambiato sui mercati regolamentati.
In pratica, un future nasce nel momento in cui qualcuno è interessato a predefinire il prezzo di un bene a causa delle variabili che tendono a renderlo imprevedibile. In California l’acqua è un bene molto appetibile per prodotti finanziari in quanto è una risorsa essenziale e soggetta all’impatto incisivo dei cambiamenti climatici: siccità brutali, alto numero di incendi e precipitazioni estreme. Basti pensare che il 40% dell’acqua consumata in California è destinata all’irrigazione, con costi molto elevati specie per alcune colture, come quella delle mandorle.
Da qui la nascita dei primi futures sull’acqua, proposti in linea teorica come strumento di risk management, per aiutare le municipalità, le aziende agricole e le imprese industriali a proteggersi dai rischi economici legati alla carenza idrica ma che già mostra ambizioni diverse.
In California il future sull’acqua debutterà nel quarto trimestre, sulla piattaforma Globex con sottostante il Nasdaq Veles California-Water Index per un mercato da 1,1 miliardi di dollari.
Sebbene sia stato progettato per il mercato californiano, il gruppo statunitense vuole espanderne il modello. “Con quasi due terzi della popolazione mondiale che dovrebbe affrontare la scarsità d’acqua entro il 2025, questa rappresenta un rischio crescente per le imprese e le comunità di tutto il mondo”, ha infatti spiegato Tim McCourt, responsabile Cme Group degli indici azionari e dei prodotti di investimento.
La situazione in Italia. Nel nostro paese la gestione della risorsa idrica è disciplinata da ARERA, che ne regola anche le tariffe di vendita, con il nuovo Metodo Tariffario Idrico valido per il periodo 2020-2023. Questo nasce nel segno del Water Service Divide e prevede l’efficientamento dei costi operativi e delle gestioni, la valorizzazione della sostenibilità ambientale anche attraverso il Piano per le Opere Strategiche e gli incentivi agli strumenti di misura dei consumi, per aumentare la consapevolezza dei cittadini. Il Metodo premia l’efficienza energetica e prevede incentivi per il risparmio e il riuso delle acque, nell’ottica di un’economia circolare.
Tutto ciò comporta che, rispetto al caso californiano, non ci possa essere un soggetto con interesse di mercato o di manovre speculative, in quanto il prezzo è regolato e non è possibile stipulare prezzi differenti in base alla disponibilità della risorsa.
Inoltre, ad oggi il sistema italiano prevede una gestione dell’acqua in cui la matrice pubblica è prevalente, considerando società a completa gestione pubblica, miste o gestite direttamente dall’ente locale[1] e che, in seguito alla vittoria del sì referendum di giugno 2011:
- non consente più la possibilità di privatizzare la gestione dei servizi idrici,
- elimina la “remunerazione del capitale investito” dal gestore in favore della sola “copertura integrale dei costi”, anche se nella pratica la remunerazione è stata sostituita con gli “oneri finanziari del gestore” che sono finiti in tariffa.
Difatti, nella realtà, poco è cambiato a seguito del referendum, che avrebbe dovuto portare ad una gestione effettivamente pubblica, ma ad oggi non è così! (maggiori informazioni qui).
Nonostante tutto ciò, pensiamo sia giusto chiedersi se è davvero così remoto che anche in Italia e in Europa non possa figurarsi uno scenario di scarsità di risorsa idrica tale da innescare la richiesta di prodotti finanziari quali i futures, considerando in particolare la scarsa considerazione che i decisori politici hanno dei cambiamenti climatici.
E a livello globale? Dove sono già in atto politiche di water grabbing, ossia di accaparramento della risorsa idrica, i future sull’acqua potranno essere parte del problema?
Per provare a rispondere a queste domande ne abbiamo parlato con Marirosa Iannelli, presidente del Water Grabbing Observatory, specializzata in cooperazione internazionale e water management e co-autrice del libro “Water Grabbing, Le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo“.
Ecoló: Ciao Marirosa, grazie per la disponibilità a rispondere alle nostre domande. Per prima cosa vorremmo chiederti di cosa ti occupi esattamente.
Marirosa Iannelli: Grazie a voi per questa intervista! Da circa 10 anni lavoro nel settore della cooperazione internazionale, collaborando con organizzazioni non governative come project manager di progetti ambientali. Attualmente lavoro con Amref Health Africa, storica ong africana e con Italian Climate Network, coordinando progetti di educazione, comunicazione e advocacy climatica. Circa 3 anni fa ho fondato insieme al giornalista e geografo Emanuele Bompan il Water Grabbing Observatory, per documentare casi di accaparramento idrico, di violazione dei diritti umani e ambientali in tutto il mondo…e molto, molto, altro.
Ecoló: Il termine “grabbing” tendiamo ad associarlo agli acquisti di terre ma nel tuo libro ci racconti di quanto si stia estendendo all’acqua. In che misura questo è un fenomeno che dovrebbe preoccupare anche noi?
MI: Terra e acqua sono due risorse strettamente interconnesse: land e water grabbing infatti spesso e volentieri vanno di pari passo, ma nel libro abbiamo posto l’accento in particolare sulla gestione delle risorse idriche. “L’acqua” è un tema molto ampio: dalla privatizzazione, alla scarsità idrica dovuta ai cambiamenti climatici, dalla costruzione di mega impianti idroelettrici molto impattanti sugli ecosistemi all’inquinamento o sovra sfruttamento causato dall’estrazione mineraria. Ogni qual volta che non si fanno i conti con i diritti della natura e delle persone, depauperando territori e gravando sulla vita di comunità e popolazioni più a rischio, possiamo parlare di grabbing. Ovviamente con criticità e conseguenze molto diverse a seconda dell’area del mondo, ma la dinamica di fondo è la stessa.
Ecoló: Quali strumenti ci sono per contrastare il water grabbing? Esistono esempi virtuosi di interventi che hanno migliorato la situazione?
MI: In termini molto concreti, a mio avviso l’accaparramento idrico può essere contrastato in primis riconoscendo l’acqua come bene comune e come diritto umano. Questa consapevolezza passa attraverso un riconoscimento giuridico e politico che tuteli realmente questa risorsa in quanto tale e non come merce da quotare in borsa. Una volta assunto tutto ciò, si può davvero lavorare per una gestione sostenibile e partecipata dei sistemi idrici: mi piace citare tra gli esempi virtuosi molti dei comuni francesi, che in un paese che ha le più grandi multinazionali dell’acqua in bottiglia e gestori privati (Veolia, Suez,etc), hanno deciso di “ri-municipalizzarsi” cioè tornare ad una gestione totalmente pubblica dell’acqua, con grossi benefici sia per l’ambiente che per i cittadini. Questi modelli di piccoli, medi e grandi comuni, possono essere presi ad esempio anche in Italia, se solo riuscissimo a fare una vera transizione ecologica della gestione dell’acqua.
Ecoló: Si è parlato di pericolo di speculazione e mercificazione di un bene vitale, dal tuo punto di vista, a livello globale la notizia sui primi future sull’acqua quanto ti preoccupa? a cosa può portare?
MI: Sono molto preoccupata. A oltre 10 anni dalla risoluzione delle Nazioni Unite sul diritto umano all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, nonostante l’enorme lavoro di associazioni, movimenti, cittadini in tutto il mondo, non c’è ancora sufficiente consapevolezza sull’urgenza di tutelare la risorsa idrica in quanto bene comune. Questa consapevolezza necessita ormai di un vero lavoro congiunto tra giurisprudenza, scienza, politica ed economia. In uno scenario (presente e) futuro in cui i cambiamenti climatici avranno un impatto sempre maggiore sulle nostre vite, non possiamo più permetterci di ignorare il tema dell’acqua. Temo soprattutto un aumento dei conflitti in aree del mondo già sensibili e colpite sia da siccità che da una cattiva gestione delle risorse, e temo un forte aumento delle disparità sociali.
Ecoló: A livello nazionale invece come siamo messi sulla gestione della risorsa acqua? ci sono fenomeni di accaparramento anche da noi?
MI: Sicuramente in Italia non abbiamo la stessa situazione di comunità che ogni giorno fanno i conti con la necessità di camminare 30 km per raggiungere la prima fonte d’acqua. Ma questo scenario, che ci appare così lontano dalla nostra quotidianità, dovrebbe farci riflettere su quanto poter aprire ogni mattina il rubinetto di casa sia quasi “un lusso” che potremo non permetterci più. Per esempio già nell’estate del 2017 si è “sfiorata” la crisi idrica a Roma dovuta all’abbassamento del Lago di Bracciano (punto di prelievo idrico per la capitale). Ecco che a 10 anni dal referendum per l’acqua pubblica, concretizzare la volontà popolare con una gestione realmente pubblica e democratica delle risorse idriche vorrebbe dire contrastare il water grabbing. Anni di privatizzazione o di gestione partecipata pubblico-privata non hanno portato maggiore efficienza nel servizio, anzi: basti pensare che ad oggi le nostre infrastrutture sul territorio nazionale sono obsolete e letteralmente bucherellate per oltre il 47% (dati Istat del 2019).
Ecoló: Cosa fa in concreto il Water Grabbing Observatory e cosa pensi che possiamo fare noi, come cittadini e come Ecoló?
MI: L’osservatorio è nato con l’obiettivo primario di documentare e dare voce a chi spesso non ce l’ha: abbiamo iniziato proprio andando nei paesi più colpiti dal water grabbing, realizzando interviste, fotografie, approfondimenti con dati scientifici e politici. Il giornalismo d’inchiesta, la ricerca, l’arte sono alla base di molti dei nostri lavori. Dai primi reportage tra Africa, Medioriente, Canada e Sudamerica, alle interviste ai difensori dell’acqua. Ma non solo: oltre alla documentazione sul campo è importante anche informare puntualmente e per questo abbiamo avviato proprio nel 2020, anno in cui non è stato possibile viaggiare a causa della pandemia, la prima newsletter dal mondo dell’acqua. #Accadueo è una nostra selezione di notizie dall’Italia e dal mondo per approfondire il tema dell’acqua, del clima e dei diritti. Spesso ci troviamo letteralmente bombardati da tante informazioni diverse e in contraddizione tra loro, in questo senso il nostro ruolo è verificare news e fonti per renderle fruibili a tutti in modo semplice e accurato. WGO si occupa anche di sensibilizzare cittadini e influenzare i decisori politici: ne è un esempio la campagna #StopAcquaInBottiglia che promuove l’acqua pubblica, l’uso dell’acqua del rubinetto e fornisce numeri chiari e aggiornati sull’enorme business dell’acqua in bottiglia a discapito delle nostri fonti. In ultimo, portiamo avanti l’azione politica necessaria per far si che il diritto umano all’acqua sia riconosciuto come tale, a partire dall’Italia. Come? Lavorando per la legge sull’acqua pubblica che a ormai 10 anni dal referendum ancora non vede la luce. Come cittadini abbiamo un ruolo fondamentale e lo stile di vita che ognuno di noi sceglie è determinante anche per influenzare la politica. Informarsi quotidianamente e studiare sono alla base della comprensione di ciò che ci circonda (e qua mi rivolgo soprattutto alle giovani generazioni, ma non solo!). Agire e scegliere per esempio di non acquistare acqua in bottiglia, è un gesto concreto che ognuno di noi può fare.
Ecoló. Grazie per il tuo tempo, buon lavoro!
[1] Secondo i dati di Utilitalia (2019), oltre la metà degli abitanti residenti (il 54%) riceve un servizio erogato da società interamente pubbliche. Un italiano su 3 lo riceve da società miste a maggioranza o controllo pubblico, mentre un 11% direttamente dall’ente locale (“gestione in house”, possibile solo a determinate condizioni, tra cui il capitale interamente pubblico della società affidataria). Infine, un 2% della popolazione italiana è servita da società private e l’ultimo 1% da società miste a maggioranza o controllo privato.